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Una ricerca interdisciplinare su un vaso decorato dalla grotta di Sa Corona ‘e Leori (Bessude -SS): considerazioni sulla facies eneolitica sarda di Monte Claro.

Paola Basoli, Luca Calcagnile, Alessandra Célant

La presente nota prende avvio dal ritrovamento di un vaso decorato nello stile delle ceramiche a solcature e scanalature della facies eneolitica sarda di Monte Claro, rinvenuto nella grotta di Sa Corona ‘e Leori (Bessude-Sassari). Il ritrovamento del vaso, indicato in un primo momento come proveniente dalla grotta di Su Idighinzu (Thiesi-Sassari), è stato successivamente localizzato nella grotta detta Sa Corona ‘e Leori o Grutta ‘e su Bandidu o Corraine, in località Leori in territorio del Comune di Bessude, in prossimità del confine con il comune di Thiesi. La grotta è segnalata su un pendio scosceso coperto da fitta macchia mediterranea presso il lago del Bidighinzu, con un difficile accesso che, attraverso un cunicolo iniziale quasi impercorribile, conduce ad un ambiente pianeggiante, dove sarebbe stato trovato il manufatto, posto in superficie nella terra mossa, in posizione eretta, con il contenuto e con accanto il coperchio in due frammenti presso l’orlo. Le circostanze del rinvenimento e la parziale ricomposizione inducono ad analizzare con circospezione questo contenitore, che tuttavia conserva importanti elementi che meritano di essere approfonditi con opportune analisi. Il vaso, di argilla bruno-rossiccia, ha il corpo a parete convessa con una breve spalla, definita da una larga solcatura, due prese semicircolari forate e rialzate, impostate tra il corpo e la spalla, una larga bocca con l’orlo arrotondato e un largo fondo piatto. Il coperchio con listello tronco-conico ha una forma ovale con due lobi forati e rialzati, aderisce perfettamente alla larga solcatura su cui era originariamente alloggiato, ed è in corrispondenza con le prese forate del vaso al fine di permetterne una chiusura con legacci. La decorazione, presente su parti dei frammenti del vaso, comprende: due scanalature parallele intorno all’orlo; due file di punti impressi; parti di motivi angolari con vertici in alto e in basso, costituiti da strette solcature marginate da punti impressi; un motivo angolare con vertice in alto marginato da punti impressi sul listello del coperchio. La forma del vaso, che non trova finora confronti tra i materiali attribuiti a questa facies culturale, può configurarsi come una pisside per la presenza del coperchio. Le caratteristiche strutturali delle prese forate del vaso e del coperchio connotano un recipiente di grande valore cultuale e rituale, che doveva custodire un prezioso contenuto chiuso e sigillato con legacci e sottoposto all’azione del fuoco. Il coperchio con due lobi forati trova confronti tra i materiali delle necropoli ipogeiche di Su Crucifissu Mannu-Porto Torres, di Serra Crabiles-Sennori e della grotta di Serra di Lioni-Sassari. Coperchi di pissidi, tipologicamente affini, si ritrovano tra le ceramiche del gruppo di San Giuseppe, così denominato da una grotta dell’Isola d’Elba. La decorazione del vaso ripropone motivi decorativi e tecniche che trovano larghi confronti nella sintassi ornamentale di questa facies culturale nell’ipogeo di Santu Pedru-Alghero, nella grotta di Serra di Lioni-Sassari, nel santuario megalitico di Biriai-Oliena. Sono noti ritrovamenti di questa facies nelle grotte della Sardegna settentrionale e soprattutto nel Sulcis-Iglesiente, interpretate talvolta come luoghi di abitazione e prevalentemente di sepoltura. Il ritrovamento di questo vaso di carattere cultuale e rituale in una grotta di difficile accesso rende plausibile l’ipotesi dell’esistenza di un luogo di culto ipogeico legato a rituali di fertilità e fecondità. All’interno del vaso, sul fondo, è stato individuato un grumo di materiale organico combusto, che è stato prelevato e analizzato. Ad un primo esame autoptico questo ammasso appare costituito da macroresti vegetali, in particolare da carporesti millimetrici assemblati fra loro. Il materiale è subito apparso molto favorevole ai fini di una analisi radiometrica, in quanto ritrovato in condizioni ottimali di conservazione, privo di sedimento inorganico includente. Si tratta quindi di una deposizione primaria, con stratigrafia indisturbata. Dall’analisi della superficie dei semi e frutti rinvenuti è stato possibile dedurre le modalità di contatto con il fuoco, evidentemente avvenuto a basse temperature e probabilmente protetta dal vaso. L’analisi morfobiometrica dei carporesti carbonizzati ha documentato la presenza di oltre 150 reperti, di cui circa l’80% sono rappresentati da cariossidi di specie diverse di cereali (fam. Pomaceae) e il 20% da semi di varie specie di legumi (fam. Fabaceae). Questo ritrovamento archeobotanico risulta di grande interesse per la varietà, la quantità e la qualità di carporesti combusti rinvenuti, che forniscono nuovi dati sull’economia mista di sussitenza e sulla tecnologia agricola di questa facies allogena in Sardegna, ancora poco conosciuta dal punto di vista paletnobotanico. Il ritrovamento archeocarpologico assume ulteriore rilevanza in quanto cronologicamente ben inquadrato dalle analisi radiometriche, eseguite con la tecnica AMS, su carporesti selezionati facenti parte dell’ammasso carbonizzato. È nota la vocazione agricola della facies, documentata dalla fitta concentrazione di insediamenti nelle fertili pianure del Campidano, che suggerisce pratiche di agricoltura intensiva, ampiamente indiziata da strumenti di pietra (macine, macinelli, elementi di falcetto), da grandi dolii, da decorazioni simboliche (foglioline, semi e solchi) e dalla presenza di cereali carbonizzati. Le analisi e gli studi effettuati sui carporesti carbonizzati contenuti all’interno mettono in relazione la tipologia vascolare e la produzione cerealicola con una datazione radiometrica, che si attesta intorno alla metà del III millennio a.C.

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